In un’epoca in cui il corrispettivo (al di sopra di poche migliaia di Euro) non può più, per legge e di fatto, essere pagato in contanti, e in cui ogni nostro movimento finanziario è tracciato in modo indelebile e facilmente riscontrabile, non ha più senso parlare nell’Imposta di registro di accertamento di maggior valore. Non ha più senso sul piano giuridico, come si cerca di dimostrare argomentando sulla base di alcune norme già oggi vigenti, che vanno solo lette e coordinate. Ma non ha più senso soprattutto sul piano sociale, perché non sembra accettabile che, dopo l’indicazione del prezzo vero, si subisca un accertamento basato su stime e su misurazioni non comprensibili all’uomo medio. Anche nelle altre imposte il rapporto tra prezzo e valore va letto sotto una diversa prospettiva. Si pensi all’Iva e all’Irpef, dove recenti innovazioni normative riducono la rilevanza del valore. Anche in altre imposte, come quelle sulle successioni, dove non vi è un corrispettivo, il valore venale inizia a cedere il passo a valori fiscali determinabili in modo obiettivo. Senza dimenticare i principi costituzionali e l’autonomia contrattuale delle parti.