Nel rinnovato contesto processuale del 1988, il legislatore aveva scommesso sulle modalità alternative di giudizio, corredate da minori garanzie ma per ciò stesso più celeri. La tenuta del sistema era stata affidata in particolar modo a riti – come il giudizio abbreviato - che consentivano all’imputato di modificare le scelte strategiche dell’organo dell’accusa, evitando il passaggio alla più articolata fase del dibattimento. Per un periodo di tempo, evoluzione dell’architettura del rito e dinamiche dei controlli hanno camminato di pari passo, nel senso di una perfetta coerenza dei secondi con la prima, così come coerente con la struttura e le caratteristiche del giudizio abbreviato originario era il decalogo dei limiti all’appello contenuti nell’art. 443 c.p.p. della prima ora: la natura pattizia e acceleratoria del rito - che ruotava attorno alla consensuale rinunzia al più garantito accertamento gnoseologico dibattimentale in cambio di un riconoscimento premiale - giustificava le previste preclusioni all’appello, giacché i complessivi vantaggi conseguiti con il rito speciale (scelto e accettato dalle parti) trovavano controprestazione, tra l’altro, nella consapevole preventiva rinuncia ad avvalersi del giudizio di seconde cure.