Nella stagione in cui fioriscono, in diverse discipline, non soltanto giuridiche, studi e approfondimenti sulla crisi che attraversa lo Stato costituzionale, al crocevia tra emergenza sociale e questione democratica, ancora manca una riflessione sul rapporto tra diritto del lavoro e democrazia: l’essenzialità di quella relazione è, per così dire, postulata. Il che non sembra impedirne il progressivo e apparentemente inesorabile svuotamento. Osservando l’odierno panorama normativo, l’instabile assetto delle fonti, la condotta delle parti sociali, gli indirizzi del diritto vivente e talune posture assunte dalla dottrina, si ricava l’impressione che il diritto del lavoro sia alla ricerca, quasi disperata, di una propria rilegittimazione, tanto da utilizzare, in maniera anche spregiudicata, tre grandi leve che partecipano della sua struttura costitutiva: l’occupazione, l’uguaglianza e la certezza giuridica. Tali nozioni, declinate in un’accezione obliqua e ideologica, hanno fortemente condizionato gli sviluppi del diritto del lavoro d’inizio secolo, determinandone una radicale metamorfosi che coinvolge la struttura, la funzione e le finalità stesse della disciplina. Trovare una legittimazione della norma giuslavoristica al di fuori di un paradigma autenticamente democratico non è, però, detto che sia semplice né ciò di cui si abbia bisogno.